Caro o cara,
le avrai notate anche tu. Sono nell’aneddoto che la donna dietro la cattedra ha appena raccontato all’uomo sulla porta. Sono, anche, nelle bianche scie di gesso sulla lavagna, o accanto al bimbo gigante che sorride sul cartellone fuori dalla finestra, dall’altro lato della strada. Sono racchiuse nel cuore intagliato sul tuo banco e sparse su tutti i muri, nel brusio dei compagni dietro di te (sei in prima fila?) che fra poco scemerà, come le oscillazioni del pendolo nel laboratorio di fisica. Sono nella risma di fogli protocollo che un signore calvo sulla sessantina, appena entrato, ha sfilato da una busta sigillata; uno di quei fogli, adesso, è sul tuo banco. Passano dai tuoi occhi e poi migrano verso il cervello, tradotte in impulsi elettrici. Sono nel “Sei ore da adesso!” della professoressa e fra poco, riversate dalla tua mano, saranno sul tuo foglio.
Parole.
Le sole che io, con questa mia lettera, posso affidarti.
Vorrei essere lì con te, a rassicurarti e dirti che andrà tutto bene. Ma posso regalarti solo queste parole.
Tutto ciò che dovrai fare per superare questa sfida, e le molte che seguiranno, è scegliere le parole giuste. O le migliori che riuscirai a trovare.
Il potere di costruire il racconto di quest’ultimo giorno di scuola è solo tuo.
Ma adesso, le parole, le ho finite. Iniziano le tue.

Andrea Vilasi