Un posto a cui appartenere
C’è una cosa che accomuna chi passa di qui: la sensazione di aver trovato un posto a cui appartenere.
Le lezioni hanno una forma diversa da ciò che ti aspetti: di rado sono frontali, il più delle volte si lavora insieme ai docenti per imparare facendo. Ci saranno lezioni in cui smonterai un racconto di Bolaño, altre in cui studierai la campagna social di Treedom, altre ancora dove scriverai un episodio di Euphoria o studierai una partitura musicale. A volte dovrai camminare a piedi nudi su un pavimento di legno per scoprire come si muovono i personaggi della tua storia.
In cattedra ci sono persone che fanno il mestiere che vorresti fare tu, magari c’è il regista dell’ultima serie TV che hai guardato su Netflix o la giornalista che registra i suoi podcast da una zona di guerra, la traduttrice dei Fratelli Karamazov o qualcuno che ha curato l’immagine di tutti i tuoi cantanti preferiti all’ultimo Festival di Sanremo.
In pausa si sale al bar per un caffè, o ci si avvia verso le macchinette perché qualcuno ha detto che in un’intervista Lynch sosteneva che è meglio bere un caffè cattivo che non bere per niente caffè. A volte ci si sposta in terrazzo ed è lì che nascono i progetti migliori e le collaborazioni improbabili, poi ci sono i pranzi sui divanetti e, al centro di tutto, c’è il cortile. Ci sono mattoni rossi e tavolini colorati, cani che si rincorrono e quattro aceri che cambiano con le stagioni.
C’è sempre un compagno che legge solo autori già morti, la tipa riccia appassionata di fotografia conosciuta il primo giorno di Holden Start, quello che non sa cosa vuole fare da grande, quella che si sente un po’ persa, proprio come te. Insieme si condivide la sindrome da pagina bianca, la paura di non essere abbastanza bravi e le aspettative di chi, a un certo punto, riconosce del talento in quello che hai scritto.
Si scrive tanto, a comando, in poco tempo. Si scrive sempre, a prescindere dal percorso che si sceglie e dal posto in cui ci si trova. Sei al supermercato e hai un’idea per un pezzo di stand-up comedy sui broccoli surgelati, sei al parco e ti viene in mente un reportage sulla cementificazione e gli ecomostri, ti stai lavando i denti e capisci che lo sfarfallio della luce al neon del tuo bagno è perfetta per il corto che state girando. Si legge tanto, e si intrecciano percorsi inaspettati (lezioni di marketing, l’arte del kintsugi, una camminata in montagna).
Magari lo hai sognato, un posto come questo, quando studiavi trigonometria, o quell’esame di statistica che non hai mai capito cosa c’entrasse con il tuo piano di studi. Hai sognato un posto in cui poter scrivere tutto il giorno, in cui fossi effettivamente autorizzato a farlo. Magari non aveva questa forma, magari somigliava a Hogwarts, a un college americano, a una capanna nel bosco, invece è un vecchio arsenale militare con una torre dell’orologio che non segna mai l’ora giusta.
E la speranza migliore è che il tempo che passi qui serva soprattutto a cambiare prospettiva, così che quando uscirai tu abbia la sensazione che il posto a cui appartieni sia molto più vasto, e includa un pezzo di mondo che prima ti sembrava estraneo.
